Il Cardellino

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Il Cardellino, di Donna Tartt – Ediz. Rizzoli

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Persone non qualsiasi

Alla fine ho ceduto alla tentazione di scrivere di questo libro, tenendo bene a mente che lo avrei fatto per motivi indipendenti dal suo essere un libro di cui si parla, e molto.

È che indubbiamente ti resta dentro, a lungo, e ti senti legato ai personaggi, così intensi e fuori dal comune, così mai del tutto buoni o cattivi.

La storia, ormai nota, accompagna il tredicenne Theo Decker per una decina d’anni di vita e trasformazione, da quando resta orfano di una madre devota e molto amata, fino al suo essere adulto.

In questi anni Theo conosce davvero tutte le fasi del dolore umano, e lo fa attraversandole senza risparmiarsi e senza porre limiti alle esperienze cui andrà incontro.

Theo incontrerà persone che cambieranno il corso della sua vita, persone così intense e speciali che per ognuno di esse potrebbe essere scritta un’altra storia.

La storia di Carel Fabritius prima di tutte, brillante allievo di Rembrandt, che dipinse Il Cardellino nel 1654 e che morì lo stesso anno in un’esplosione che distrusse la maggior parte delle sue opere.

Quella di Hobie, restauratore di mobili antichi ma anche della vita delle persone, saggio, solido e rassicurante.

Quella di Pippa, con cui Theo condivide il trauma che dà l’avvio a tutta la storia.

E, infine, quella di Boris, così importante nella vita di Theo, con cui condivide il passaggio da una vita protetta a una violenta e senza limiti.

Il bene e il male, ma non solo

Sempre Theo può scegliere tra il bene e il male, o forse solo tra quel che è giusto e quel che  è sbagliato.

A modo suo, sceglierà l’amore, sempre, e lo farà nell’amicizia totale con Boris, nell’amore per Pippa, nella passione per l’arte che lo lega al ricordo della madre e lo porta a incontrare Hobie.

Gli si vuole bene, anche quando sbaglia, e lo fa nel modo peggiore.

Mi mancherà, mi resterà il desiderio di sapere cosa è stato della sua vita, dopo averlo accompagnato per quasi 900 pagine.

E sento di avere qualcosa di molto serio e urgente da dirti, mio inesistente lettore, e sento che devo dirtelo immediatamente come se ci trovassimo nella stessa stanza. Che la vita – qualunque cosa sia – è breve. Che il destino è crudele ma forse non casuale. Che la Natura (intesa come Morte) vince sempre, ma questo non significa che dobbiamo inchinarci e prostrarci al suo cospetto. Che forse anche se non siamo sempre contenti di essere qui, è nostro compito immergerci comunque: entrarci, attraversare questa fogna, con gli occhi e il cuore ben aperti. E nel pieno del nostro morire, mentre ci eleviamo al di sopra dell’organico solo per tornare vergognosamente a sprofondarvi, è un onore e un privilegio amare ciò che la Morte non tocca.

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